La Mitica Via Emilia

La Mitica Via Emilia Per conoscere davvero la Romagna è necessario lasciare l'autostrada A14 ed imboccare la Via Emilia...la madre di tutti percorsi romagnoli!  La strada costruita da Emilio Lepido ad iniziare dal 187 a.C. è ancor oggi la spina dorsale della Romagna...

Il suo percorso costituisce la linea di cerniera tra la pianura e la collina, sviluppandosi diritto da Imola a Rimini ed attraversando Faenza, Forlì, Forlimpopoli, Cesena, Savignano e Santarcangelo. In essa si innervano le strade che portano verso il mare o, all’opposto verso le colline, tra cui le quattro Strade dei Vini e dei Sapori della Romagna: da quella dei Colli di Imola alle Colline di Faenza, dai Colli di Forlì e Cesena alla Strada dei Colli di Rimini che si va poi a raccordare oltre la città con la Via Flaminia, costruita nel 220 a.C. per collegare Roma a Rimini. Quattro Strade che hanno dato vita alla aggregazione operativa dei quattro circuiti enogastronomici sotto il nome di “Romagna – Terra del Sangiovese” con sede presso la Casa Artusi di Forlimpopoli.
Per dirla con Tito Balestra la Via Emilia è “Un segno sull’atlante,/una riga che corre dal mare al Po, l’Emilia/strada di contadini”. Oggi ancora più vero di quando, nel 1976, lo scrisse Balestra perché la utilizzano soprattutto i romagnoli, figli di una cultura nata dalla terra, mentre i turisti sfrecciano lungo l’autostrada gettando uno sguardo fuggevole oltre i campi e le case fino alla linea ondulata delle colline che molti pensano sia Toscana. Ed invece è Romagna. Quella Romagna che è possibile scoprire dalla Via Emilia attraverso i larghi spazi lasciati da ali di fabbriche e case, che lasciano correre l’occhio su un paesaggio rurale che rimanda ai versi di Giovanni Pascoli che aprono la poesia Romagna: “Sempre un villaggio, sempre una campagna …”.
 
Ma la stessa via Emilia è ricca di fascino e di storia. Lungo il suo tracciato sono passati Giulio Cesare con le sue legioni; il Papa Giulio II con il suo corteo; il duca Valentino con Leonardo; Giuseppe Garibaldi alla testa dei suoi volontari e milioni di altri individui e cose ricordati da  Alfredo Oriani in un racconto dedicato proprio alla via Emilia:“Torme di saltimbanchi e di gladiatori, carri pieni di statue e di leoni, processioni di santi e di prigionieri, labari e stendardi, aquile e gonfaloni, reliquie di santi e di governi, macchine da guerra e d’industria, anfore e cannoni, scialli e corazze, ogni varietà di uomini e di cose soavi e nauseanti, ignobili e sublimi, tutto è passato per questa strada che fu lungi secoli la più frequentata del mondo”. Anche Oriani, nell’estate del 1897, l’affrontò in bicicletta per un lungo viaggio: “La via Emilia mi è apparsa dinnanzi larga dritta bianca polverosa: il sole vi cadeva acciecante, non una bava di vento: silenzio nei campi tutti coperti di sole giacché le ombre stavano rannicchiate sotto gli alberi”. 

Per Sergio Zavoli la passione dei romagnoli per la bicicletta discende proprio dalla via Emilia: “Una vena che ogni tanto si allarga dando luogo ad un paese, per riprendere subito dopo la sua dimensione. Gran parte della Romagna urbana è cresciuta in queste improvvise dilatazioni; poi, col distendersi delle periferie, si è disposta sempre più fitta lungo la via consolare. Il viaggio, intrigato dal succedersi delle città, dei paesi e dei borghi ha preso un passo quieto, pari a quello del treno che viaggia accanto alla strada e si attarda in una semina di stazioni. Ridotta a unire paese a paese, la grande via ha visto crescere le biciclette”.  

Ma c’è dell’altro. Se la bicicletta è in Romagna il mezzo di trasporto indispensabile, l’amica di gite sentimentali e di escursioni sportive sia per uomini che per donne; se è stata cantata e raccontata da scrittori come Olindo Guerrini, Alfredo Oriani, Renato Serra, Alfredo Panzini lo si deve alla sua capacità di accordare la vita col tempo e lo spazio, in una dimensione umana, solleticando , allo stesso tempo, il senso della libertà così caro ai romagnoli che per questo hanno fatto della Romagna una “piccola Cina”. “Il piacere della bicicletta – scriveva Oriani - è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione. Andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio, senza preoccupazioni, come per un cavallo, senza servitù come in un treno. La bicicletta siamo ancora noi che vinciamo lo spazio e il tempo”

La fortuna della bicicletta è favorita anche dalla conformazione variegata del territorio romagnolo che in poco spazio assomma pianura, collina e montagna. Da qui l’affermazione di campioni del pedale forti in pianura ed in salita come Mario Vicini, Aldo Ronconi e Arnaldo Pambianco; altri che sapevano esprimere tutte le loro potenzialità in pianura come Vito Ortelli, Giuseppe Minardi, Diego Ronchini ed Ercole Baldini oppure campioni come Marco Pantani cresciuto in riva al mare di Cesenatico ed affermatosi come scalatore insuperabile. 

Per tutti i motivi citati e per l’esaltazione che sa dare la velocità, i romagnoli amano allo stesso modo e’ mutor, il motore, che qui indica esclusivamente la motocicletta anche se il motore ce l’hanno l’auto, l’aereo ed anche la barca. Scrive Paolo Facchinetti: “C’è, negli occhi dei centauri romagnoli, un qualcosa che li identifica subito e che li fa enormemente diversi dagli altri patiti del motore: è un guizzo di luce, un lampo di follia sana, una irriverente ansia di sfide e di ribellione: che sono poi le virtù caratterizzanti di una terra e di una genia unici al mondo”. E questo vale per gli appassionati e ancor più per i piloti professionisti che mandano in estasi i loro tifosi con il rischio oltre ogni limite, la sfrontatezza di chi osa l’improbabile e “danno del gas” là dove gli altri frenano.
Non è un caso che alcuni tra i migliori piloti del momento siano romagnoli o quasi: da Loris Capirossi a Marco Melandri fino a Valentino Rossi, nato proprio sul confine tra Romagna e Marche. Sono gli eredi di campioni come Loris Reggiani, Paolo Bianchi, Fausto Gresini o come lo sfortunato e coraggiosissimo Renzo Pasolini per andare ancora più indietro a personaggi mitici come Luigi Arcangeli, detto “il leone di Romagna” o Aristide Gaddoni che correva con una gamba di alluminio legata alla moto!